Regolamentazione: la via scelta è quella giusta?

Immaginate un bambino che viene mandato dal papà a comprare il latte ma viene imbrogliato dal lattaio. Per evitare che il fatto si ripeta, il papà gli dà da leggere un volume di avvertenze su come non farsi imbrogliare. Ma il bambino non sa ancora leggere. La volta successiva, ovviamente, viene nuovamente ingannato. Al ritorno, il papà gli dà da leggere un altro volume, più dettagliato e articolato; ma il bambino continua a non saper leggere e il processo si ripete, in una spirale senza sosta.

Vi sembra una storia assurda? Questo è quello che la regolamentazione finanziaria sta facendo con gli investitori. Improntata ad un atteggiamento paternalistico, non induce l’investitore alla consapevolezza ma lo seppellisce di moduli ed informazioni per lui incomprensibili.

Non solo i temi finanziari sono altamente complessi e vi è un’elevata asimmetria informativa tra chi offre prodotti finanziari e chi investe al dettaglio, ma c’è anche un tema di competenze finanziarie. I risparmiatori italiani, infatti, come certificato dalle indagini Ocse e Banca Mondiale sul tema (International Survey of Adult Financial Literacy e Global Financial Literacy Survey), sono di fatto degli “analfabeti finanziari”. Secondo le indagini gli italiani non conoscono concetti elementari come inflazione, interesse composto e diversificazione e le loro  competenze risultano inferiori a quelle che si riscontrano in Paesi come Senegal, Togo, Zambia e Madagascar.

Invece di tener conto di questo problema di base, la regolamentazione si preoccupa di inondare il risparmiatore di informazioni difficili o talvolta addirittura incomprensibili. Nel concreto, i numeri sono più o meno questi: 11 pagine di contratto quadro sulla prestazione di servizi di investimento; 9 di censimento FATCA/CRS; 22 di contratto di c/c e deposito titoli; 3 di integrazione dati antiriciclaggio, 7 sulle principali condizioni di c/c, per un totale di 9 firme. A seguito della lettura l’investitore dovrebbe aver compreso, fra le altre cose, il sistema di salvaguardia degli strumenti finanziari, la disciplina dei conflitti di interessi, la politica degli incentivi e la best execution. Se poi avesse la malaugurata idea di investire in un prodotto in collocamento, come un normalissimo fondo d’investimento, dovrebbe leggersi dalle 100 pagine in su (dello stesso tenore) tra KIID e prospetto informativo. Se infine avesse ancora un po’ di tempo da dedicare a letture per lui incomprensibili, potrebbe sempre sottoscrivere azioni in IPO (Initial Public Offering), il cui prospetto (destinato proprio a lui visto che per gli investitori professionali il prospetto non è necessario) avrebbe una lunghezza media di 406 pagine, come evidenziato in una recente ricerca Consob, che mostra tra l’altro che i prospetti italiani sono i più lunghi in Europa (Alvaro e al., “The Prospectus Regulation. The long and winding road”, Consob, Quaderno giur. n. 22/2020, p. 35). Oltre a competenze elevate i risparmiatori dovrebbero avere quindi anche un’enormità di tempo a disposizione.

Se queste letture e firme servissero a qualcosa, non avremmo assistito a tutti i casi di “risparmio tradito” che abbiamo osservato nel corso degli ultimi anni, che – si noti bene – non si riferiscono in genere a casi di collocamento o vendita di prodotti finanziari complessi, ma a banalissimi casi di mancata diversificazione portata all’estremo, ossia di piena concentrazione su un unico emittente (solitamente la stessa banca del cliente). Il punto è che questa eccessiva regolamentazione paternalistica crea, di fatto, anche un falso senso di protezione e genera nella testa del cliente l’aspettativa che, qualsiasi cosa accada, si interverrà in suo soccorso, scatenando così un fenomeno di “moral hazard” che disinnesca qualsiasi meccanismo di autotutela. La logica del proverbio che suggerisce di non mettere tutte le uova nello stesso paniere è compresa e condivisa da tutti; eppure, nel campo degli investimenti finanziari, tutto l’apparato creato dalla regolamentazione finisce per far perdere di vista anche il buon senso.
Il risultato è che a ogni nuova MiFID o altro aggiornamento normativo aumentano le pagine, la complessità e la fiducia che l’investitore deve necessariamente avere nel consulente se vuole fare investimenti finanziari. Il regolatore pensa che la protezione passi dall’incremento dei dettagli normativi e delle firme. Quello che io registro è che i risparmiatori sono sempre più disorientati e inconsapevoli. Non provano neanche a leggere ma firmano fidandosi: siamo proprio sicuri che sia questa la strada giusta?

 

Dott.ssa Marina Piovera